Strategie di diversificazione e finanza sostenibile
La società moderna ha intrapreso ormai da decenni una corsa sfrenata verso la crescita economica e la ricerca dello sviluppo. Oltre al miglioramento della qualità generale della vita, decisamente apprezzabile nei Paesi occidentali, ciò ha portato una serie di problemi che mettono in pericolo le possibilità di sviluppo future: tutto questo è accaduto perché non si è tenuto presente che l’uomo dipende dall’ambiente in cui vive e non può alterarne gli equilibri fondamentali.
Da quasi cinquant’anni i Governi dedicano un’attenzione sempre crescente verso politiche e obiettivi di sviluppo sostenibile al fine di creare “uno sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri” (Commissione mondiale per l’ambiente e lo sviluppo, 1987).
Lo sviluppo sostenibile, però, pone degli obiettivi globali da perseguire localmente, in quanto la qualità ambientale a livello globale è determinata da attività che vengono svolte a livello locale. Siamo inoltre coinvolti in cambiamenti veloci e di ampia portata, in campo socio-economico ed ambientale. Un contesto nel quale gli eventi globali, le opinioni della comunità scientifica e le decisioni politiche guidate a livello europeo stanno spingendo in modo chiaro in una direzione: il Green New Deal della presidenza della Commissione Europea Von der Leyen, che spinge fortemente le decisioni di investimento delle aziende e il modo stesso di fare impresa verso una maggiore consapevolezza nei confronti dell’ambiente[1].
Nasce così il problema della misurabilità della sostenibilità e della rendicontazione dei progressi in tale direzione: vi è la necessità di disporre di metodologie che orientino le scelte, però allo stato attuale non esiste un’unica strada consolidata e ampiamente condivisa per ottenere questo risultato. Il ruolo della contabilità ambientale è proprio quello di colmare lacune informative e supportare l’amministrazione nell’attuazione di politiche, strategie e azioni per lo sviluppo sostenibile[2].
Il bilancio ambientale è considerato lo strumento più articolato a disposizione di chi vuol fare della contabilità ambientale il punto chiave dell’attenzione crescente verso politiche e obiettivi di sviluppo sostenibile. Per mezzo della contabilità ambientale si riesce a descrivere lo stato dell'ambiente e le interazioni che intercorrono tra attività umane e natura, viene quantificato l’impatto ambientale delle attività umane e si ha la possibilità di monitorare costantemente i progressi delle politiche e delle strategie adottate.
Lo scopo ultimo è migliorare la qualità dell’informazione ambientale: il nodo principale da sciogliere è l'integrazione delle considerazioni ambientali nei processi decisionali, una condizione indispensabile per il raggiungimento dello sviluppo sostenibile.
Per comprendere appieno gli scopi e l'utilità della contabilità ambientale è dunque necessario comprendere cosa si intende per sviluppo sostenibile e perché dobbiamo considerarlo come un obiettivo. A livello politico si dovrà anche tradurre il suo raggiungimento in un metodo pratico e, per quanto possibile, universale, tale da essere applicabile dal maggior numero di enti e imprese, replicabile nei suoi strumenti e confrontabile nei risultati ottenuti.
La nascita, lo sviluppo e l’evoluzione della finanza sostenibile
Un’azienda può scegliere di diversificare le proprie attività e i propri investimenti in modo da limitare l’impatto sugli equilibri sociali ed ecologici del pianeta. Il tema della sostenibilità nella produzione e nella competizione è al centro del dibattito economico da qualche tempo grazie ad una sensibilità diffusa, con particolare riguardo ai temi ambientali che hanno spinto molti paesi ad adottare misure di mitigazione dei rischi connessi ai mutamenti climatici. L’estensione del perimetro di attenzione anche alle diseguaglianze sociali ha integrato la nozione di sostenibilità con riferimento alla creazione di valore socialmente condiviso, spostando gradualmente il focus dall’interesse dell’azionista a quello più generale degli stakeholder aziendali, incluse le comunità di riferimento entro le quali l’azienda opera.
La definizione di finanza sostenibile più utilizzata individua sotto questa etichetta tutte le strategie di investimento che, direttamente o indirettamente, hanno l’obiettivo di realizzare un rendimento socialmente condiviso assieme al ritorno economico atteso dall’investimento.
Secondo la formulazione della Global Sustainable Investment Alliance (GSIA) contenuta nel Report 2019, condivisa anche da Eurosif e dal Forum Italiano per la Finanza Sostenibile, si può definire sostenibile ogni strategia di investimento che ricade sotto questa definizione: “La finanza sostenibile è quell’insieme di strategie di investimento che considerano i fattori ambientali, sociali e di governance (ESG) nella composizione e gestione del portafoglio. Ai fini di questo report globale e per articolare il nostro lavoro nel modo più allargato possibile, GSIA utilizza una definizione inclusiva di finanza sostenibile, senza operare separazione alcuna tra essa e termini o locuzioni associabili, come finanza responsabile o finanza socialmente responsabile. Tutti questi approcci sono collettivamente denominati SRI (Socially Responsible Investing)”.
Il primo evento di finanza socialmente responsabile risale al 1990, quando negli Stati Uniti venne organizzata la conferenza “SRI in the Rockies” che ebbe risonanza a livello mondiale. Oggi la SRI Conference si tiene annualmente e rappresenta uno degli eventi più importanti nel settore della finanza responsabile. Il primo report sulla finanza sostenibile fu emesso nel 1995 (Trend Report on SRI Finance) e consegnò il primo dato sulle masse gestite che hanno questa esplicita denominazione: 639 miliardi di US$. In Italia, il primo fondo etico è stato il “Sanpaolo Azionario Internazionale Etico” del 1997, mentre il primo indice azionario SRI globale nacque nel 1999, creato dal Dow Jones e denominato Dow Jones Sustainability Index.
Nel marzo 2018, la Commissione Europea ha pubblicato un “Piano d’Azione per la finanza sostenibile”, in cui vengono delineate la strategia e le misure da adottare per la realizzazione di un sistema finanziario in grado di promuovere uno sviluppo autenticamente sostenibile sotto il profilo economico, sociale e ambientale, contribuendo ad attuare l’”Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici” e l’”Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile”.
Tali obiettivi, tra proposte legislative e non, sono elencati in una sorta di decalogo di azioni, da portare a termine entro la fine del 2019:
- Istituire un sistema unificato a livello dell’UE di classificazione delle attività sostenibili;
- Creare norme e marchi per i prodotti finanziari sostenibili;
- Promuovere gli investimenti in progetti sostenibili;
- Integrare la sostenibilità nella fornitura di consulenza sugli investimenti;
- Elaborare indici di sostenibilità;
- Integrare meglio la sostenibilità nei rating e nella ricerca;
- Chiarire gli obblighi degli investitori istituzionali e dei gestori di attività;
- Integrare la sostenibilità nei requisiti prudenziali;
- Rafforzare la comunicazione in materia di sostenibilità e l’elaborazione delle norme contabili;
- Promuovere un governo societario sostenibile e attenuare la visione a breve termine nei mercati dei capitali[3].
Tali finalità, dando seguito ai risultati degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (Millennium Development Goals), presentano il carattere dell’universalità, in quanto riguardano il mondo intero, Paesi sviluppati e in via di sviluppo. Nasce, pertanto, l’impegno internazionale a delineare strategie per raggiungere gli obiettivi prefissati attraverso il coinvolgimento di tutte le componenti della società, dai governi alle imprese, dalle organizzazioni della società civile ai singoli cittadini.
Per realizzare concretamente lo sviluppo sostenibile, è necessario che le imprese assumano un nuovo modello, innovando radicalmente i propri modelli di business e finanza.
L’impresa deve, quindi, farsi carico delle richieste degli stakeholders (consumatori, investitori, società civile e autorità pubbliche) e integrare la sostenibilità nelle proprie strategie e pratiche operative, sia per ragioni etiche o di riconoscibilità aziendale, sia con la consapevolezza che tutto questo si tradurrà anche in un vantaggio competitivo per il contesto in cui interviene.
La sostenibilità diventa uno strumento imprescindibile, concreto e dinamico di gestione del rischio a lungo termine: essere sostenibili significa “anticipare e gestire rischi e opportunità di carattere economico, sociale e ambientale”[4].
Le spinte provengono dal mercato – infatti, secondo il Gfk Eurisko[5], oltre un terzo degli acquirenti considera la sostenibilità un fattore decisivo almeno quanto qualità e prezzo – dalle politiche internazionali e dalle problematiche ambientali e sociali a cui si assiste di frequente, dagli investitori di mercato globale degli investimenti sostenibili che si stima almeno il 31% del totale gestito[6].
Da ciò si evince come, in ambito aziendale, la sostenibilità assuma diverse connotazioni; difatti, viene intesa come responsabilità sociale d’impresa, come strumento di gestione dei rischi (reputazionale, legale, operativo, di transizione) e, ancora, come opportunità (innovazione, efficienza, competitività, resilienza).
Le agenzie di rating e gli indici ESG
ESG è l’acronimo di Environmental, Social and Governance e si riferisce a tre fattori centrali nella misurazione della sostenibilità di un investimento. Questo approccio deriva dal concetto di “Triple Bottom Line”, noto anche come “Persone, Pianeta e Profitti” (PPP); l’espressione appartiene a John Elkington, che la propose nel 1998[7] nel suo Cannibals with Forks: the Triple Bottom Line of 21st Century Business. L’intenzione dichiarata era quella di creare un sistema di valutazione per “misurare” la sostenibilità delle strategie di una azienda. Le aziende quindi non avrebbero più dovuto concentrarsi solo sui “Profitti”, ma su ciascuna delle tre “P”, che sono altrettanto importanti per la sostenibilità di qualsiasi impresa commerciale.
Elkington prende in considerazione tre parametri:
- People: le persone. Viene valutato l’impatto positivo o negativo che una organizzazione, una strategia aziendale ha sui suoi stakeholder più importanti. Gli stakeholder, cioè i portatori di interesse, includono gli impiegati, le loro famiglie, i clienti, i fornitori, le comunità, e ogni altra categoria di persone che influenza o è influenzata dalle scelte in questione. Cambia radicalmente, cioè, il punto di vista dal quale si considera un’azione: non è più al centro lo shareholder, l’azionista, ma lo stakeholder, nel significato più ampio del termine.
- Planet: il pianeta. Viene valutato l’impatto positivo o negativo che ha una organizzazione sull’ambiente. Questo comprende l’impegno dell’azienda sulla riduzione della propria attività sull’impronta ecologica globale (carbon footprint), l’impiego di risorse naturali, di materiali nocivi ma anche la riduzione dello spreco, la riforestazione e il ripristino dell’eventuale danno all’ambiente naturale.
- Profit: il profitto. Si parla di profitto economico, non solo di quello finanziario, che quindi comprende anche quanto delle ricadute e degli indotti di un’azienda non è immediatamente monetizzabile: creazione di nuovi posti di lavoro, innovazione, fair-play fiscale, la creazione di ricchezza in senso lato, e qualsiasi altro impatto di tipo economico che una azienda può avere. A ragione di questo, spesso profit viene sostituito con prosperity, che meglio dà conto dell’ampiezza dell’accezione[8].
Questo concetto si è evoluto nei fattori ESG (Environmental, Social, Governance) che oggi sono il caposaldo dell’investimento sostenibile e responsabile.
I criteri ambientali esaminano il modo in cui un’azienda contribuisce alle sfide ambientali (consumo di energia, produzione di rifiuti, inquinamento, emissioni di gas a effetto serra, conservazione delle risorse naturali, protezione degli animali, dalla deforestazione e dai cambiamenti climatici) e le sue performance in tal senso.
I criteri sociali analizzano il modo in cui l’impresa tratta le persone (rispetto dei diritti umani, uso del lavoro minorile, gestione del capitale umano, rispetto della diversità e delle pari opportunità, salute e sicurezza dei lavoratori, coinvolgimento della comunità e relazioni tra i dipendenti), I criteri di governance valutano il modo in cui un’azienda è amministrata (qualità e remunerazione dei dirigenti, strategia e pratiche fiscali, trasparenza e comunicazione, presenza di conflitti di interessi, corruzione e abuso d’ufficio, indipendenza degli amministratori e diritti degli azionisti).
L’idea al centro dei fattori ESG è semplice: le imprese hanno maggiori probabilità di avere successo e di generare ottimi rendimenti se creano valore per tutti i soggetti interessati (stakeholder), ossia dipendenti, clienti, fornitori e la società in generale, incluso l’ambiente, non solo per i loro proprietari. Di conseguenza, l’analisi ESG si concentra sul modo in cui le aziende operano nella società e su come ciò influisce sulle loro performance attuali e future. L’analisi ESG non riguarda solo ciò che l’azienda sta facendo oggi ma, tramite l’esame delle tendenze future, dovrebbe includere i cambiamenti probabili e possibili tali che possano avere conseguenze significative sulla redditività futura dell’azienda o sulla sua stessa esistenza[9].
Vista l’importanza di quanto appena descritto, è sorta la necessità di quantificare l’aderenza ai parametri ESG dell’azione imprenditoriale. Esistono delle agenzie terze che forniscono report sulle prestazioni ESG delle imprese nel tempo. La valutazione avviene con quello che è noto come rating ESG.
Le agenzie di rating ESG forniscono due diverse tipologie di giudizio:
- declarative (o unsolecited) rating: richiesto dall’investitore (ovvero dalla società d’investimento) che ne sostiene anche il costo; ciò dovrebbe aumentare la sicurezza del rating grazie all’assenza di conflitti d’interesse ma al prezzo di una valutazione necessariamente condotta sulla base di documenti pubblici. Esso viene richiesto allo scopo di misurare i profili di sostenibilità dei propri clienti e permette di selezionare, tra tutti, gli investimenti sostenibili che abbiano maggior redditività.
- requested (o solicited) rating: l’impresa oggetto dell’analisi ne è anche il richiedente; lo svantaggio è la potenziale compromissione dell’imparzialità visto che ne sostiene il costo[10]. Può essere richiesto per accedere a finanziamenti riservati ad aziende che operano politiche di sostenibilità oppure per dimostrare ai possibili nuovi investitori che ai proventi finanziari si accompagna un impatto quantificabile dal punto di vista ambientale e sociale.
Il costo di tale attività dipende dalla disclosure aziendale, perché se l’impresa non dispone di una documentazione in materia di sostenibilità, ciò comporta l’assenza di unità che si occupino della Corporate Social Responsability (CSR) e della sua rendicontazione: una criticità che costringe le agenzie di rating a doversi attivare per la raccolta dei dati, con un maggior costo e tempi procedurali più lunghi.
Gli investitori utilizzano le classifiche ESG per confrontare le aziende utilizzando i criteri che contano di più per loro. Il rating ESG di un’impresa è un indicatore chiave del rischio potenziale e del rendimento derivanti dall'assegnazione del capitale a tale società. L’analisi dei dati della stessa agenzia nel corso di molti anni consente agli investitori di tracciare la traiettoria dell’azienda in tutti i settori relativi all'ambiente, alle questioni sociali e alla governance e fornisce loro una visione più chiara della potenziale performance finanziaria futura. Essi sono sempre più interessati a iniziative sostenibili e sono consapevoli dell’impatto che le questioni ambientali, sociali e di governance possono avere sulla redditività. Pertanto, un’azienda con un buon punteggio ESG può spesso sembrare più attraente per opportunità di investimento responsabili.
Le aziende dovrebbero concretamente investire nel mantenimento di comunità stabili, sicure e pulite – che, tra l’altro, è uno degli obiettivi della riduzione della carbon footprint. Un buon rating ESG può diventare una sorta di effetto collaterale che aumenti sì la reputazione aziendale, ma che concretamente fornisca benefici diffusi come equità sociale, giustizia ambientale, tecnologie e informazioni disponibili per tutti.
Lo Standard Ethics rappresenta una delle più importanti agenzie ESG per regole e princìpi che la determinano, al cui interno rintracciamo due linee guida:
- non vi è una definizione di concetti come etica, sostenibilità o responsabilità sociale, vista l’eterogeneità interna, fonte potenziale di problemi; nel marzo 2017 c’è stato un ulteriore “atto di trasparenza” con la pubblicazione del Three Laws of Sustainability, documento in cui l’agenzia afferma chiaramente che la definizione del concetto di sostenibilità è un atto di competenza degli enti sovranazionali[11];
- le valutazioni sono effettuate utilizzando una documentazione quasi esclusivamente pubblica e sulla base di criteri fissati da soggetti terzi (ONU, ILO, OCSE e UE).
Da ciò è possibile comprendere come l’agenzia consideri la trasparenza un fattore critico: il rating è infatti da loro definito Solicited Sustainability Ratings (SSR) ed è caratterizzato da tre attributi:
- solicited: emesso su richiesta del soggetto, valutato tramite un rapporto bilaterale diretto e regolato (gli unsolicited sono emessi a finalità statistiche, ovvero per completare e aggiornare gli indici dell’agenzia);
- standard: il metodo e i parametri di emissione sono uniformati a linee guida, quali le indicazioni dell’UE, dell’OCSE e delle Nazioni Unite in materia di CSR, governance e sostenibilità;
- independent.
Questo vuol dire che Standard Ethics adotta un metodo standard secondo il cosiddetto applicant-pay model e gli SSR esprimono un giudizio graduato in una classificazione a 9 livelli.
Nel 2016, Filippo Cecchi (direttore della comunicazione di Standard Ethics) ha dichiarato a Forbes che il rating di SE è una misura della distanza tra la pratica di CSR dell'azienda e l'ideale di riferimento: significa che se la società di X è valutata E, non automaticamente la sua attività deve essere considerata “insostenibile”, ma, semplicemente, che essa è distante dagli standard internazionali e che, pertanto, può affrontare rischi più elevati rispetto alle società con rating più alti[12].
Entrando, infine, nel merito del modello, Standard Ethics non utilizza né KPI (un valore misurabile che dimostra l’efficacia con cui un’azienda sta raggiungendo i principali obiettivi di business), né l’equal weight approach, ma un algoritmo proprietario formato da sei diverse variabili di seguito elencate:
- Fc: per la competitività. Valuta negativamente elementi come gli interventi dell’Antitrust, indagini, evasione fiscale o posizioni dominanti problematiche;
- Sa e Mw: riguardano la governance e analizzano temi rilevanti per investitori istituzionali e azionisti di minoranza (diritti, struttura proprietaria, ecc.);
- Id: valuta il sistema di corporate governance, incentrandosi su fattori come il sistema di gestione dei rischi e i controlli, la composizione dei board, ecc.;
- Cg: è focalizzato sulle dimensioni ESG, cioè misura se le strategie d’impresa sono allineate con le linee guida internazionali;
- K: è il c.d. Sustainability At Risk (SaR) cioè una premium variable.
Queste variabili sono valutate “in modo armonioso” poiché considerano anche aspetti come dimensioni e tipologia degli emittenti.
I componenti del settore Utility sono 30 e sono stati selezionati da Standard Ethics, come le maggiori società europee quotate che operano nel campo delle utility, secondo la classificazione settoriale data dai principali informations provider. Le aziende sono state selezionate in base alla loro capitalizzazione di mercato, nonché alla quantità di azioni fluttuanti[13].
I componenti del settore Multi-Utility sono 15 e sono stati selezionati da Standard Ethics tra le aziende europee che operano in almeno due aree di business legate alla fornitura di servizi pubblici essenziali: rifiuti (gestione dei rifiuti e servizi ambientali), acqua (gestione delle risorse idriche) ed energia (fornitura di elettricità e gas). La selezione è stata fatta sulla base della capitalizzazione di mercato[14].
L’inclusione, in entrambi i settori, è stata limitata alle aziende con capitalizzazioni di mercato particolarmente significative.
Potremmo parlare anche di Standard Ethics Indices, un punto di riferimento per misurare, nel tempo, l’apprezzamento sui mercati finanziari dei princìpi e delle linee guida dell’Unione Europea, dell’OCSE e delle Nazioni Unite in materia di sostenibilità, corporate governance e responsabilità sociale delle imprese.
Il punteggio di sostenibilità viene applicato, quindi, alle aziende più conformi a queste linee guida internazionali.
Gli Standard Ethics Indices sono una simulazione totalmente “Open Free” e senza scopo di lucro. La metodologia di selezione dei componenti e i pesi sono pubblici e di facile comprensione. Infatti, gli indici sono liberamente utilizzabili come benchmark in CSR e SRI, come indicatori di rischio reputazionale.
Per esempio, lo Standard Ethics Index italiano è stato lanciato il 1° gennaio 2014, con il valore iniziale di €10.000, e i componenti dell’Indice sono le 40 maggiori società italiane quotate.
L’Indice è ponderato secondo un punteggio di sostenibilità, lo Standard Ethics Rating (SER) è attivo e quindi bilanciato mensilmente: viene rivisto ogni sei mesi, alla fine del primo e del terzo trimestre. I cambiamenti di rating saranno registrati solo nelle date in cui è prevista la revisione[15].
I rischi e i profitti
Quanto riportato nei paragrafi precedenti, in merito alla storia e alla metodologia delle agenzie di rating ESG, rappresenta un passaggio fondamentale per acquisire gli elementi necessari a comprendere le ragioni per le quali la sostenibilità e i suoi fattori possano divergere fra loro.
Nell’agosto 2019 Berg et al. hanno pubblicato una ricerca intitolata Aggregate Confusion: The Divergence of ESG Ratings, in cui sono stati analizzati i rating emessi da KLD, Sustainalytics, Vigeo EIRIS, Asset4 e RobecoSAM, dimostrando che la correlazione media fra di essi è pari al 61%, mentre quella dei rating creditizi di Moody’s e S&P è il 98,6%[16].
Un fattore che può comportare una riduzione del costo del debito è la riduzione dell’asimmetria informativa. Si parte dal presupposto che la tendenza delle imprese ad essere più responsabili e la divulgazione di informazioni, migliorino la trasparenza nei confronti dei vari stakeholders e rendano più affidabili i rendiconti finanziari.
Le imprese possono utilizzare i propri impegni da un punto di vista sociale come meccanismo che consenta di migliorare l’informazione e la qualità della stessa, riducendo le eventuali asimmetrie informative.
Lo stesso ragionamento può essere effettuato se parliamo della banca. Il legame tra banca e impresa è concettuale, in forza del quale una migliore qualità del flusso informativo consente di ridurre i costi di monitoraggio e di agenzia, con la conseguente riduzione del costo complessivo del finanziamento bancario[17].
Dunque, il principio da applicare nell’attribuzione dei tassi di interesse ai prestiti deve riflettere il loro contenuto di rischio: un corretto pricing del rischio equivale ad una corretta differenziazione della “qualità” creditizia.
La modalità con cui la banca attribuisce il tasso di interesse dipende dal tipo di intermediario:
- se la banca è Price-Setter, vuol dire che la banca opera in un mercato inelastico tale da poter fissare il tasso di interesse sui prestiti che concede. Il prezzo è determinato in modo che ci sia equilibrio tra la somma del costo della provvista finanziaria, della perdita attesa e del capitale di rischio ed il prezzo.
- se la banca è Price-Taker significa che il tasso è fissato dal mercato (dalla concorrenza bancaria e di altri operatori finanziari) e diventa rilevante misurare la redditività dei prestiti concessi. La decisione dipende dal confronto tra la redditività del prestito e il rendimento minimo desiderato: se il rendimento netto sul capitale a rischio è superiore al rendimento minimo desiderato, è opportuno che la banca conceda il prestito mentre, al contrario, la concessione del prestito distrugge il valore economico e crea un danno economico[18].
Il Comitato di Basilea indica nel Principles for effective risk data aggregation and risk reporting del 2013 che il risk management di una banca dovrebbe rispettare il principio di Completeness: Una banca dovrebbe essere in grado di acquisire e aggregare tutti i dati rilevanti sul rischio all'interno del gruppo bancario [...] disponibili per linea di business, entità legale, tipo di attività, settore, regione e altri gruppi, come rilevanti per il rischio in questione, che consentono di identificare e segnalare esposizioni, concentrazioni e rischi emergenti, includendo tutti i fattori di rischio e adottando un sistema capace di aggregare i dati, i quali devono essere prodotti con annessa identificazione e spiegazione di eccezioni presenti. Ciò è fondamentale perché se i propri clienti sono esposti a criticità rispetto al profilo della sostenibilità, allora anche la banca ne è coinvolta, quindi il rischio è indiretto se coinvolgesse diverse aree, quali Finanza, Credito, Mercato, ecc.[19]
La risk identification viene svolta attraverso screening, questionari e analisi di conformità, mentre la risk monitoring, all’interno del quale sono inclusi processi quali risk categorization e risk analysis, è da ritenersi un processo a parte poiché:
- la classificazione serve ad assegnare il livello di rischio ambientale e sociale, in modo da poter applicare le procedure di monitoraggio e gestione, inclusa anche l’esclusione se elemento a basso rischio;
- l’analisys costituisce, invece, un ulteriore livello di controllo per le transazioni di maggior rischio, il che può rendere necessaria l’assunzione di personale specializzato e quindi l’avvio di partnership specifiche.
Si evince, dunque, che la finanza sostenibile sia soggetta a cambiamenti ed evoluzioni nel mercato e, quindi, considerata di assoluta importanza l’integrità del mercato nella società globalmente intesa. Bisogna che si rispettino elevati canoni di comportamento diligente, corretto e il più trasparente possibile (intendendo come confine del “possibile” quello della massima diligenza professionale). I concetti di diligenza, correttezza e trasparenza devono essere inseriti in una prospettiva “etica”, ossia che si ispiri ai principi solidaristici di matrice costituzionale.
Dunque, è doveroso affermare chiaramente l’assoluta coerenza del concetto della sostenibilità con i fondamentali del sistema capitalistico-liberale, inserendolo nella più generale cooperazione umana creatrice della nostra stessa società, atteso che cooperative action is more efficient and productive than isolated action of self-sufficient individuals[20] [21].
[1] Linee guida per la rendicontazione di sostenibilità per le PMI, Confindustria, maggio 2020.
[2] E. Perricone, Il Bilancio Ambientale nella Pubblica Amministrazione. Proposta di una nuova metodologia, Università di Palermo, 2008.
[3] Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio Europeo, al Consiglio, alla Banca Centrale Europea, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni - Piano d’azione per finanziare la crescita sostenibile: http://www.astrid-online.it
[4] DOW Jones Sustainability Index - The essence of value, Robeco SAM.
[5] Si tratta di un istituto per ricerche di mercato tra i più autorevoli al mondo. Nato in Germania, è attivo in tutto il mondo e svolge ogni anno una ricerca, anche in Italia, per conto delle più importanti aziende del nostro Paese.
[6] Fonte: Gsia Global Sustainable Alliance.
[7] In realtà, i primi investimenti finanziari sostenibili trovano origine negli Stati Uniti già nel 1928, con la nascita del primo fondo di investimento “etico”, il Pioneer Fund, a cui hanno fatto seguito diversi fondi di investimento di organizzazioni (religiose, studentesche, ecc.) che erano solite escludere, dai loro investimenti, le imprese operanti in determinati settori; interessante, al riguardo, è stato il Pax World Fund, costituito nel 1971 con l’intento di dare risposta agli investitori che non avevano interesse ad investire in imprese che finanziassero la guerra in Vietnam.
[8] Eleonora Pini in People, Planet, Profit: https://arcipelagolamaddalena.wordpress.com
[9] Cosa sono i fattori ESG e perché ci stanno a cuore? https://www.janushenderson.com
[10] Per esempio, la società potrebbe sostenere una maggiore spesa o promettere di acquisire ulteriori servizi se, in cambio, l’agenzia rilasciasse un rating migliore.
[11] Fonte: Standard Ethics del 2019.
[12] Fonte: www.standardethics.eu
[13] Almeno il 25% del capitale sociale. Limite ridotto nel caso di società ad alta capitalizzazione.
[14] In questo caso il livello di oscillazione non è stato considerato tra i criteri di selezione.
[15] Fonte: www.standardethicsindices.eu
[16] Berg, F., Kölbel, J. e R. Rigobon, Aggregate Confusion: The Divergence of ESG Ratings, MIT Sloan, Research Paper No, 2019.
[17] Fonte: Research in International Business and Finance, 2.
[18] Ibidem.
[19] UNEP Finance Initiative, Guide to banking and sustainability, II edizione, 2016