La durata delle verifiche fiscali: termini e limitazioni
Le verifiche fiscali eseguite presso la sede contribuente, non possono avere una durata indefinita e sono perciò appositamente limitate ai sensi dell’art. 12 -c. 5- dello Statuto dei diritti del contribuente. Questa norma indica, appunto, il termine di permanenza degli Organi di controllo che eseguono le verifiche fiscali (ADE e G di F.) presso la sede del contribuente. In caso di mancato rispetto dei termini legalmente fissati la Cassazione, ha assunto una posizione piuttosto decisa ed a tratti criticabile, ritenendo che l’eventuale violazione delle tempistiche di controllo che, non dimentichiamolo, sono sanciti da una norma di legge, non determinerebbe: né la sopravvenuta carenza di potere, né l’invalidità degli atti compiuti o l’inutilizzabilità delle prove raccolte, atteso che nessuna di tali sanzioni è stata prevista dal Legislatore.
La prescrizione normativa di riferimento, impone che la permanenza degli operatori dell’Amministrazione finanziaria (Agenzia delle Entrate e Guardia di Finanza), dovuta a verifiche presso la sede del contribuente, non può superare i 30 giorni lavorativi. Si tratta tuttavia di un termine pur sempre prorogabile, per ulteriori 30 giorni, qualora ricorrano casi di particolare complessità dell’indagine, che vanno in ogni caso individuati e motivati dal dirigente dell’Ufficio. Nei confronti dei contribuenti in regime di contabilità semplificata, nonché dei lavoratori autonomi, il termine è invece di 15 giorni, prorogabili di ulteriori 15 in caso di particolare complessità dell’indagine (entrambi i termini devono essere comunque contenuti nell’arco di non più di un trimestre).
Il calcolo del periodo di permanenza degli Organi ispettivi, presso la sede del contribuente, va operato tenendo in considerazione i giorni di effettiva presenza (Circ. n. 64/E del 27.06.2001 - Agenzia delle Entrate) presso la sede del contribuente sottoposto ad attività ispettiva. In pratica, se i verificatori, per varie ragioni procedono alla sospensione delle attività di verifica per alcuni giorni, tornando solo in seguito presso la sede dell’impresa, i giorni di interruzione non possono essere presi in considerazione nel computo citato: valgono esclusivamente i giorni di effettiva permanenza presso le sedi dell’impresa o dell’attività professionale controllata.
Qualora il contribuente richieda che l’esame delle scritture contabili si debba svolgere presso il proprio professionista o nelle sedi degli Organi di controllo, valgono, in ogni caso, le medesime prescrizioni.
La permanenza non deve ritenersi coincidente con la durata complessiva della verifica, atteso che quest’ultima potrebbe anche ricomprende oltre alle attività di controllo esperite presso sede d’impresa del contribuente, una serie di altre attività e adempimenti, che possono essere eseguiti anche in altri ambiti, quali, ad esempio: i riscontri di coerenza esterna, le elaborazioni di dati documentali, l’acquisizione di informazioni nei confronti di terzi, ecc.
Come accennato, può essere sempre disposta la proroga dei termini di permanenza, nei casi di particolare complessità dell’indagine:
- per ulteriori 15 giorni, per verifiche esperite nei confronti di contribuenti in regime di contabilità semplificata nonché dei lavoratori autonomi;
- per ulteriori 30 giorni, per verifiche dirette a contribuenti non rientranti nelle categorie del precedente cpv.
I casi di particolare complessità dell’indagine devono essere valutati caso per caso, ma, in linea di principio, potrebbero considerarsi esistenti ogni qualvolta si debba procedere ad ispezioni nei confronti di soggetti di grandi dimensioni.
In ogni caso, è necessario che si provveda all’individuazione e motivazione di tali esigenze, riguardo alle quali si pronuncia e provvede il dirigente dell’Ufficio che esegue l’attività ispettiva, tramite specifica “comunicazione motivata” da consegnare/notificare al contribuente.
In seguito al decorso dei termini di permanenza indicati, ancorché questi siano stati anche oggetto di proroga, permane la possibilità per l’Amministrazione finanziaria di ritornare presso la sede del contribuente, per esperire ulteriori attività, sempre che ricorrano delle precise condizioni. Ed invero, tale facoltà di reiterazione della visita ispettiva, è rigorosamente subordinata alla sussistenza delle seguenti condizioni: - deve esserci la necessità di procedere ad esaminare le osservazioni e le richieste eventualmente presentate dal contribuente dopo la conclusione delle operazioni di verifica;
- devono, inoltre, sussistere specifiche ragioni, che vanno autorizzate e motivate da parte del dirigente dell’Ufficio operante.
A titolo esemplificativo e non esaustivo, le “specifiche ragioni” richiamate dalla norma, possono ritenersi configurate nei casi in cui: - sia necessario, a seguito di una verifica di carattere generale, procedere a un successivo riscontro parziale per contestare, ad esempio, solo alcuni atti di gestione rispetto alle quali alla data di ultimazione della verifica si era operata una motivata sospensione (ad esempio in caso di risultanze di accertamenti bancari resi disponibili solo dopo la chiusura delle attività di verifica);
- sia sopravvenuta, a seguito della conclusione dell’intervento, la conoscenza di nuovi elementi che rendano motivata e legittima la redazione di processi verbali di constatazione, finalizzati a consentire l’emanazione di accertamenti modificativi o integrativi;
- sia necessario, al termine dell’ispezione svolta presso gli Uffici dell’Organo di controllo, procedere a specifici riscontri documentali che comprovino gli esiti della precedente attività.
Secondo la giurisprudenza, gli elementi rinvenuti dopo lo spirare dei termini di permanenza sono sempre utilizzabili e l’accertamento non è affetto da alcuna nullità.
La Cassazione ha ripetutamente esposto tale principio in considerazione del fatto che le eventuali sanzioni, per trovare collocazione nell’ipotesi di superamento dei termini di permanenza, avrebbero dovuto essere contemplate dal Legislatore (Cass. Civ. Sez. 5, Sent. 21.06.2019, n. 16687: “il protrarsi della presenza dei verificatori nella sede del contribuente oltre i termini previsti dall’art. 12, 5° comma, dello statuto del contribuente (I. n. 212/2000) non preclude, in assenza di una specifica norma sanzionatoria, l’utilizzo degli elementi acquisiti oltre la scadenza dei predetti termini e per l’effetto non determina l’invalidità del conseguente avviso di accertamento.”). In tema di verifiche tributarie, in base all’orientamento prevalente, si ritiene che il termine di permanenza degli operatori civili o militari dell’Amministrazione finanziaria presso la sede del contribuente è meramente ordinatorio, in quanto nessuna disposizione lo dichiara perentorio, o stabilisce la nullità degli atti compiuti dopo il suo decorso, né la nullità di tali atti può ricavarsi dalla “ratio” delle disposizioni in materia. Diversamente, risulterebbe palesemente sproporzionata la sanzione del venir meno del potere accertativo fiscale a fronte del disagio arrecato al contribuente dalla più lunga permanenza degli agenti dell’Amministrazione.
A tal fine occorre precisare che i termini legali perentori, non sono giammai prorogabili e determinano con la loro decorrenza la decadenza dal potere di compiere un determinato atto.
Attingendo alle regole di matrice processual-civilistica (Art. 152 c.p.c.) possiamo definire come ordinatori, quei termini che non sono previsti a pena di decadenza e che sono comunque prorogabili per un termine comunque di durata non superiore al termine originario (come accade nel caso in specie).
Sempre in ambito processual-civilistico, da cui si ritiene vadano tratti e applicati i rispettivi principi, anche con riferimento al settore di cui ci si occupa, in ordine al mancato rispetto del termine ordinatorio, si dovrebbe ritenere che l’inutile spirare del termine (quindi anche il superamento del termine di permanenza dei verificatori presso la sede del contribuente, riguardo al quale non sia stata disposta una proroga), determini la decadenza del potere di compiere determinati atti (ipoteticamente anche quelli che attengono alla prosecuzione delle attività di verifica).
La mancanza di una sanzione espressa, non significa che le ipotesi di nullità sono solo quelle previste dalla legge. Si ritiene, infatti, che, nel contesto della materia trattata, il regime delle invalidità non sia solo quello delle nullità testuali (espressamente contenute in una norma), potendo essere sicuramente dedotto per via ermeneutica tenuto conto delle disposizioni di sistema vigenti. Così, la conseguenza di una determinata invalidità, applicabile all’atto tributario, potrebbe essere desunta dallo scopo e dalla funzione di una determinata norma (nel caso in specie si tratterebbe di una norma inserita nello statuto del contribuente, volto a tutelare e garantire la posizione di quest’ultimo al cospetto dell’azione amministrativa/accertativa) e quindi interpretando la stessa in virtù del sistema normativo in cui s’inserisce. In ogni caso, non dimentichiamo di trovarci al cospetto di una prescrizione ben precisa del Legislatore, il quale ha voluto imporre una norma sulla durata della permanenza dei verificatori presso la sede del contribuente, la quale non può essere, per così dire, depotenziata o lasciata cadere nel vuoto.
In una differente prospettiva difensiva, si ritiene che la questione non debba essere inoltre affrontata tenuto conto del vaglio qualitativo del termine (perentorio o ordinatorio) così come trattato dalla Cassazione. La violazione del termine de qua potrebbe essere affrontata esaminando il contesto delle patologie che attengono alla fase istruttoria e soprattutto delle eventuali conseguenze che queste possono recare alla legittimità del successivo accertamento. In questa prospettiva si ritiene, pertanto, che il superamento del termine sancito ex art. 12, c. 5, L. 212/2000, non comporti necessariamente l’illegittimità dell’atto di accertamento semplicemente perché il vizio istruttorio infirma sic et simpliciter tutti gli atti successivi, atteso che non tutti i vizi ipotizzabili integrano una causa di illegittimità dell’atto conclusivo del procedimento. In linea di logica, infatti, l’osservazione delle conseguenze del termine in argomento, va operata vagliando compiutamente tutta una serie di effetti che questa violazione può riversare su un eventuale accertamento: l’attenzione deve essere traslata sia sul piano del riscontro probatorio, che sul contenuto eventuale della motivazione. Per dirla in altri termini, si consideri che qualora gli elementi e le informazioni, acquisite in violazione della prescrizione del termine di permanenza, abbiano assunto un ruolo sostanzialmente primario nelle argomentazioni dei rilievi formulati, di tal guisa che l’accertamento, in mancanza di tali elementi non sia sorretto da adeguata motivazione, si dovrebbe necessariamente propendere per la declaratoria di illegittimità dell’atto di accertamento, emanato sulla scorta di tali fattori.
Si dovrebbe -pertanto- porre l’accento sul fatto che ci si trovi al cospetto di un’attività accertativa fondata su prove acquisite illecitamente: il che non rende l’atto viziato perché su di essi si riverbera il vizio di un atto precedente (ad esempio compiuto dopo la scadenza del termine di permanenza), bensì perché infondati, ovverosia totalmente privi di un idoneo fondamento di fatto, scaturente dalla circostanza che devono essere considerate sempre inutilizzabili, le prove acquisite in modo irrituale (rectius: superato il termine di permanenza legalmente imposto dal legislatore). In tal caso, la rilevanza dell’illegittimità verificabile nella fase istruttoria, seppur producente effetti solo nella fase successiva che attiene all’emanazione di un atto impositivo integra, in prima istanza, una peculiare forma di tutela di quei valori costituzionalmente tutelati, rinvenibili nella libertà di iniziativa economica e che si ritengono ingiustificatamente limitati, a cagione del superamento di un termine entro il quale il legislatore ha ritenuto sopportabile la turbativa recata al contribuente. Preme ancora una volta affermare, che il termine di permanenza è frutto di una espressa previsione legislativa (diritto vigente), che il diritto vivente (la giurisprudenza) ha inteso reinterpretare in maniera eminentemente limitativa. In conclusione, nonostante il diverso avviso della giurisprudenza di legittimità, non pare debbano residuare dubbi sul fatto che l’atto impositivo, eventualmente emanato sulla scorta di motivazioni dedotte dopo lo spirare del termine di permanenza, di cui si è ampiamente trattato, sia da considerarsi illegittimo in quanto fondato su motivazioni che traggono il proprio fondamento su degli elementi informativi acquisiti in violazione di disposizione di legge.