Gli strumenti per affrontare il passaggio generazionale d'azienda
In questo articolo affronteremo uno degli aspetti più delicati della gestione di un’impresa, soprattutto se di tipo familiare, ovvero il passaggio generazionale.
Questa fase, nelle PMI nazionali, risulta essere un momento di grande discontinuità nella vita dell’impresa che richiede un’attenta pianificazione per poter affrontare al meglio le grandi problematiche connesse a questo evento che avranno riflessi di tipo indubbiamente gestionale ma anche psicologico e giuridico.
L’ottica con cui si vuole affrontare la tematica in questa sede è prettamente tecnica, offrendo una panoramica che si focalizza prevalentemente su quelli che sono gli strumenti che offre il nostro ordinamento giuridico per la gestione del passaggio generazionale e che siano “alternativi” alla disciplina delle successioni in senso stretto.
Pertanto, tralasciando l’analisi dei vincoli civilistici tra diritto di famiglia e disciplina delle successioni, è possibile ora calarsi nello studio delle opzioni/soluzioni offerte dal diritto societario per la gestione pianificata di un passaggio generazionale.
I conferimenti
Il conferimento d'azienda è un'operazione straordinaria mediante la quale il conferente apporta un'azienda o un ramo d'azienda ad una società diversa (c.d. conferitaria), ricevendo in contropartita partecipazioni della società in cui ha effettuato l'apporto.
Oggetto del conferimento possono essere sia l’azienda nella sua totalità che un ramo della stessa, in particolare:
- l’azienda è costituita dall’universalità dei beni materiali e immateriali, nonché dai rapporti giuridici (contratti, crediti, debiti) inerenti l’esercizio dell’impresa in forza del collegamento funzionale esistente tra i medesimi;
- il ramo d’azienda è un’articolazione funzionalmente autonoma ed organizzata ai fini dell’esercizio dell’attività.
In generale, il conferimento d’azienda configura un’operazione attraverso la
quale è operato il trasferimento dell’azienda, ma differisce dalla fattispecie di cessione d’azienda sul piano della natura del corrispettivo: nella cessione, il soggetto cedente, in cambio dell’azienda, riceve un corrispettivo in denaro. Nel conferimento, invece, il soggetto conferente, in cambio dell’azienda, riceve quale corrispettivo azioni o quote che la società conferitaria emette appositamente.
La disciplina dei conferimenti, ai fini del passaggio generazionale d’impresa, assume un ruolo peculiare sotto diversi profili:
- consente di segregare il patrimonio dell’impresa familiare dalle vicende che coinvolgono i singoli partecipanti;
- consente, attraverso la costituzione della holding di famiglia, di eliminare la potenziale conflittualità tra i diversi familiari che partecipano all’impresa, concentrando il momento decisionale e di assunzione delle scelte gestionali in seno alla holding e permettendo, così, alla società operativa di continuare a funzionare anche in situazioni di conflittualità;
- consente, attraverso la possibilità di operare conferimenti non proporzionali, di soppesare il ruolo dei diversi successori che subentrano nella società familiare e di attribuire loro una partecipazione che, a prescindere dal conferimento da ciascuno operato, rispecchia l’interesse della conferitaria alla loro presenza nella compagine societaria ed alla loro utilità nell’attività sociale.
Inoltre, dal punto di vista fiscale il conferimento è un’operazione che gode dell’agevolazione di risultare completamente neutrale. Infatti, questa operazione non genera plusvalenze tassabili in capo al conferente.
Affinché il principio della neutralità fiscale possa essere applicato correttamente devono sussistere, contemporaneamente, i seguenti presupposti:
- solo le imprese commerciali possono rivestire i ruoli di conferente e conferitario;
- solo un’azienda può essere oggetto del conferimento,
Inoltre, è stato stabilito che il conferimento di un’azienda può ritenersi neutrale da un punto di vista fiscale solo nel caso in cui:
- Il valore della partecipazione ricevuta assunto dal conferente deve coincidere con il valore riconosciuto dal punto di vista fiscale dall’azienda oggetto del conferimento;
- Per motivi fiscali, il conferitario deve sostituirsi alla posizione di conferente in relazione agli elementi che contraddistinguono l'attivo e il passivo dell'azienda oggetto del conferimento.
Dal punto di vista delle imposte indirette il conferimento è un’operazione esclusa dal campo di applicazione dell’IVA ex articolo 2 del D.p.r. 633/1972 mentre deve essere soggetto all'imposta di registro nella misura fissa di 200,00 euro.
Il passaggio dall’impresa individuale alla società familiare
Il conferimento d’azienda rappresenta uno strumento che consente il passaggio da impresa individuale a società familiare. Molto spesso, infatti, l’impresa familiare nasce e si sviluppa come ditta individuale e, solo successivamente, lo sviluppo delle sue attività e le accresciute dimensioni richiedono e rendono necessaria una gestione societaria: attraverso il conferimento d’azienda l’impresa individuale inizia quell’iter tramite il quale si trasforma da realtà giuridica individuale a collettiva, consentendo la partecipazione e il coinvolgimento (in qualità di soci) dei componenti del nucleo familiare e permettendo di traghettare, in forma pilotata e sotto tutela, i figli alla conduzione del business di famiglia.
Il ricorso al conferimento nella prospettiva delineata risulta di particolare interesse in quanto consente di operare un trasferimento di ricchezza all’interno del nucleo familiare e di contemperare la presenza di due generazioni alla guida dell’impresa. L’operazione si sostanzia nel conferimento da parte del genitore della propria azienda in una società di nuova costituzione (Newco) alla quale partecipano anche i figli al fine di realizzare una cogestione dell’uno con gli altri (con ovvia prevalenza decisionale del genitore) che dura per il periodo di tempo necessario ai figli per rendersi autonomi. Il passaggio da impresa individuale a società familiare consente di segregare i beni facenti parte dell’azienda dalle vicende che riguardano i singoli familiari che partecipano all’attività e crea uno schermo societario che protegge e rende indifferenti tali beni dalle vicende personali dei successori.
La Holding di famiglia
Un’efficace soluzione per assicurare continuità all’impresa nella successione generazionale, anche come strumento per costituire una holding di famiglia, consiste senza dubbio nel ricorrere al conferimento.
Qualora, ad un genitore che ha sempre rivestito il ruolo di imprenditore, dovessero subentrare due o più figli nella gestione della società di famiglia, le decisioni non verrebbero più prese in modo unitario dal singolo, ma vi saranno più persone ai vertici con facoltà decisionale, e questo potrebbe portare a scontri, disaccordi e conflitti tra le parti coinvolte.
La holding non è altro che una struttura societaria che esercita in via esclusiva o prevalente l'attività di assunzione di partecipazioni in altre società. La holding company, anche definita capogruppo o “madre”, è una tipologia di società che, grazie al fatto che, in seguito all’acquisto di quote di partecipazione o di azioni di altre aziende, possiede, in modo diretto o in modo indiretto, una quota del capitale delle stesse, detiene le partecipazioni in una o più aziende. È possibile distinguere le holding in tre tipologie fondamentali:
- holding “finanziarie o pure”: la detenzione delle proprietà del gruppo è la principale attività che svolgono. Alle imprese di cui le holding di questa categoria detengono il capitale non vengono offerti ulteriori servizi. Attività, quali la produzione di bene e/o servizi non sono competenza di queste holding, che al più si possono occupare di determinate operazioni finanziarie nei confronti delle partecipate, che possono includere ad esempio la gestione della tesoreria o l’elargizione di finanziamenti;
- holding “dinamiche o operative”: gestiscono attivamente aziende e imprese, partecipando alla gestione dei processi decisionali ed alla pianificazione strategica e, fornendo alle imprese del gruppo stesso consulenze ed assistenza ove richieste, soprattutto per quanto riguarda la direzione e la gestione dell’azienda stessa;
- holding “industriali o miste”: sono holding che possiedono, si, azioni o quote di imprese o aziende che pertanto controllano, ma che offrono loro anche assistenza e consulenze ove necessario. Sono molto attive anche in termini di scambi commerciali che interessano i prodotti delle aziende, beni materiali o servizi che siano, oltre a regolare e supervisionare l’attività industriale delle stesse.
Nel momento in cui si va a creare una struttura piramidale dove al vertice non vi è la società operativa (o le società operative qualora fossero più di una) ma bensì i soci, membri stessi della famiglia, che vogliono partecipare in modo attivo nella gestione dell’impresa, diventa possibile distinguere gli interessi dei familiari che vogliono partecipare (ma che non si vogliono interessare della gestione dell’impresa), dagli interessi di altri familiari, che vogliono avere un ruolo più attivo anche a livello gestionale. È a livello di holding a questo punto che possono essere gestiti gli eventuali contrasti che possono insorgere tra i familiari, senza che si vada ad influenzare negativamente, se non addirittura a compromettere l`andamento dell`attività delle società operative.
Nella holding è importante che diversi familiari detengano le partecipazioni al capitale delle società operative, in quanto ciò rende possibile scindere realmente l’aspetto decisionale da quello operativo dell`attività.
Il legislatore, come sappiamo, ha concesso alle S.r.l. un’autonomia statutaria veramente molto ampia, e ciò rende questa tipologia di società l’holding di famiglia ideale, in quanto consente alla stessa di introdurre nello statuto delle regole per poter gestire al meglio i rapporti tra familiari-soci.
Le dinamiche familiari risultano pertanto essere nettamente separate dagli aspetti che concernono la società operativa e questo grazie al conferimento delle partecipazioni della società operativa in una holding S.r.l., ma non solo, infatti a livello di un atto costitutivo è possibile:
- utilizzare specifiche clausole che possano consentire ai soci di rivestire un ruolo distintivo all’interno della società di famiglia, come ad esempio clausole che ripartiscono le competenze tra soci ed amministratori, che attribuiscono diritti ad personam, o che consentono di effettuare conferimenti che di per sé non sono in rapporto proporzionale con il capitale sottoscritto;
- ricorrere a clausole di recesso esclusione e di nomina degli amministratori per poter regolare e gestire al meglio i rapporti tra i familiari;
- sfruttare apposite clausole inter vivos e mortis causa di blocco alla circolazione delle partecipazioni così da poter blindare gli asset familiari.
Nel momento in cui l’atto costitutivo viene configurato in modo corretto e nel migliore dei modi, diventa molto più semplice poi regolare i rapporti contrattuali tra i soci quando il genitore è ancora in vita, ma anche i rapporti di successione in seguito alla sua dipartita.
Quando si parla di successione, in particolar modo, è possibile promuovere la continuità della gestione familiare consentendo all’erede legittimo e/o designato di poter controllare la gestione della società operativa, e, utilizzando i dividendi distribuiti dalla holding e percepiti dagli altri eredi, consentire a questi ultimi una partecipazione agli utili.
In questo caso, come si dirà più volte nel corso del presente capitolo, sarà fondamentale rivolgersi a bravi professionisti in quanto l’ordinamento aziendale dovrà essere ideato, strutturato e redatto "ad hoc" in base alle esigenze di quello specifico imprenditore, dovrò pertanto essere uno statuto fatto su misura e che prenda in considerazione la complessità del nucleo familiare, le dimensioni del business, e, soprattutto, le diverse specializzazioni ed ambizioni degli eredi, tenendo comunque conto che, come accade spesso, non tutti gli eredi sono realmente intenzionati al prosieguo dell`attività di famiglia, a molti di essi interessa solo ed unicamente il dividendo.
La società semplice per la gestione del passaggio generazionale
Le norme che disciplinano la società semplice sono improntate alla massima semplicità e libertà formale, consentendo il realizzo di numerosi vantaggi, specialmente in tema di governance.
La destinazione all’esercizio di un’attività non commerciale la esclude dall’obbligo di tenuta delle scritture contabili e della redazione del bilancio. Inoltre, dal punto di vista fiscale, una società semplice è in grado di determinare il proprio imponibile, ma non produce reddito d’impresa, l’imponibile si riflette poi direttamente sui soci per questioni di trasparenza, mediante la somma di tutte le categorie di reddito che la società produce e la semplicità della struttura è possibile assistere, dunque, all’abbattimento dei costi di gestione societari. I soci sono dotati di ampia autonomia statutaria che consente loro di regolare la struttura organizzativa e i loro rapporti secondo le proprie esigenze.
Come nelle altre forme di società di persone, è prevista la responsabilità illimitata dei soci anche se la società semplice ha una particolarità aggiuntiva: il creditore particolare del socio, nel momento in cui viene dimostrato che gli altri beni di cui dispone non sono sufficienti per soddisfare i suoi crediti, in qualsiasi momento, può richiedere ed ottenere la liquidazione della quota del socio-debitore.
In caso di morte del socio di una s.s. si prospetta la questione della quota di spettanza agli eredi. Anche in questo caso, come per le holding srl precedentemente trattate lo statuto della società dovrà essere modellato, a monte, in base alle aspettative e desideri del padre e agli interessi dei figli: si potrà prevedere che tutti gli eredi o solo alcuni subentrino come soci, con la possibilità di liquidare la quota predeterminando il valore spettante.
Le clausole statutarie rappresentano una sorta di personalizzazione della società al caso concreto, maggiormente utilizzate sono le clausole di prelazione e/o di gradimento al fine di limitare la circolazione delle quote in favore unicamente di alcuni familiari/soci e stabilire a quali eredi verrà liquidata la quota spettante. Lo statuto può, inoltre, regolare il modo in cui può avvenire la liquidazione della quota stessa in capo all’erede, nello specifico può anche prevedere il fatto che tale liquidazione possa avvenire anche in natura, secondo determinati criteri atti a specificarne i tempi di attribuzione, il valore e tutte le possibili ipotesi contemplate per poter prevenire eventuali screzi con l’erede, e situazioni in cui possa venire sconvolta la società o si possano andare a rilevare scompensi a livello del patrimonio della stessa.
Pertanto questa possibilità può considerarsi come alternativa alla holding srl ed è caratterizzata da un’ampia autonomia e flessibilità e da bassi costi di gestione. Occorre, però, considera che il conferimento di quote in una società semplice è un’operazione realizzativa in quanto la società semplice non possiede una contabilità sociale e di conseguenza non è possibile applicare il regime del realizzo controllato. Il conferimento di quote in una società semplice rileva ai fini delle imposte dirette, ma non rileva ai fini di quelle indirette.
La cessione o la donazione delle quote
Una metodologia giuridicamente alternativa per attuare il passaggio generazionale potrebbe essere costituita dal passaggio aziendale dal titolare di quote di società ai propri familiari attraverso:
- la cessione delle quote;
- la donazione delle quote.
La cessione delle quote di società ai propri familiari, dal punto di vista fiscale, è assoggettato all’imposta di registro fissa di € 200,00. Anche se il precedente titolare deve assoggettare la plusvalenza realizzata con il trasferimento della quota al regime del capital gain, che prevede un’aliquota impositiva del 26%.
Al fine di evitare questa tassazione sulla differenza tra il valore di acquisto e quello di cessione delle partecipazioni da diversi anni la normativa prevede la possibilità di rideterminare il costo di acquisto delle partecipazioni non quotate pagando un’imposta sostitutiva dell’11%.
Possono avvalersi di questo beneficio solo le
- le persone fisiche, per tutte quelle operazioni che non rientrano nell’ambito dell’esercizio di un’attività d'impresa;
- le società semplici e i soggetti ad esse equiparate;
- gli enti non commerciali, nel momento in cui il reddito non deriva da operazioni effettuate nell'esercizio di impresa;
- i soggetti non residenti, per quanto riguarda tutte le plusvalenze che derivano dalla rinuncia a titolo oneroso di partecipazioni in società che hanno la loro residenza in Italia.
Per perfezionare il regime agevolato in argomento, è necessario:
- che un soggetto abilitato rediga e firmi una specifica perizia di stima;
- che il contribuente versi, in autoliquidazione, un’imposta sostitutiva paria al valore che è stato periziato.
Una volta calcolato il valore dalla perizia delle partecipazioni non quotate su questo intero valore (e pertanto non solo sull'incremento del valore attribuito) verrà applicata l’imposta sostitutiva. Essa possiede un'aliquota unica dell'11% che risulta valida per le partecipazioni qualificate e per le partecipazioni non qualificate.
Possono essere annoverate come partecipazioni rivalutabili, ai fini della disciplina in esame:
- le partecipazioni rappresentate da titoli (azioni);
- le quote di partecipazione al patrimonio o al capitale di società che non sono rappresentate da titoli (come ad esempio le quote delle società di persone o delle srl);
- i diritti o i titoli attraverso cui è possibile acquistare le partecipazioni sopra menzionate (es. warrant, diritti di opzione, obbligazioni convertibili in azioni).
Il trasferimento di questo valore affrancato è consentito anche nella donazione. In questo modo il passaggio generazionale non compromette l`effetto della rivalutazione volta a limitare la plusvalenza in caso di successiva cessione. Per i donatari, infatti, il valore affrancato rileva quale costo fiscalmente riconosciuto.
Qualora ci si ritrovi nello specifico caso dell’acquisto per successione viene assunto dall`erede un valore di carico fiscale della partecipazione pari al valore dichiarato agli effetti della relativa imposta. Quest`ultimo è determinato in proporzione al valore del patrimonio netto contabile della società che di solito è inferiore rispetto al valore di mercato in quanto non tiene conto dei plusvalori latenti. Ne deriva che l`erede si trova penalizzato in quanto assume la partecipazione ad un costo fiscalmente riconosciuto ragionevolmente inferiore rispetto al valore affrancato dal genitore.
Diversamente la donazione permette di trasferire al donatario il valore affrancato in quanto egli assume come costo quello del donante. Il valore affrancato dal donante rappresenta così per il donatario il costo fiscalmente riconosciuto in caso di successiva cessione. Quindi se si decide di rivalutare le proprie quote, in vista di un prossimo passaggio generazionale delle stesse, è favorevole porre in essere un atto di donazione anziché aspettare.
Si precisa infine che se il donatario vende le quote entro i 5 anni successivi all`atto di liberalità egli è tenuto a determinare e tassare l`eventuale plusvalenza con gli stessi criteri che avrebbe dovuto seguire il donante. Ciò significa che per attestare se la partecipazione è qualificata o meno dovrà verificare la caratura della quota originaria di possesso del genitore e, in base a tale valutazione, tassare la plusvalenza.
In generale, la donazione avente ad oggetto l'azienda, le azioni o le quote societarie non sconta l'imposta sulle donazioni e sulle successioni se i beneficiari sono il coniuge o i discendentiin linea retta (e quindi non solo i figli, ma anche i nipoti), secondo quanto disposto dall'articolo 3, comma 4-ter D.Lgs. 346/1990. Affinché l'esenzione possa essere riconosciuta è necessario che vengano soddisfatte 2 condizioni fondamentali:
1) il beneficio è strettamente correlato alle partecipazioni, tramite le quali è possibile integrarne o acquistarne il controllo secondo quanto dichiarato dalla normativa civilistica;
2) i beneficiari devono detenere il controllo dell’attività di impresa e proseguirne l’esercizio, nel caso in cui volessero trasferire l’attività a terzi, dopo aver rilasciato una dichiarazione ufficiale a tal proposito, devono comunque aver gestito l’attività per almeno 5 anni.
Il controllo può essere di diritto, ovvero il beneficio è riconosciuto nella sola ipotesi che venga a integrarsi il controllo di diritto, quella particolare forma di controllo che può essere attuato nel momento in cui, in corso di assemblea, si riceve la maggioranza dei voti. Ciò vuol dire che l'esenzione non sarà riconosciuta nel caso di una situazione di controllo di fatto (esercitato tramite un'influenza dominante) o derivante da vincoli contrattuali.
Sul tema l'Agenzia delle Entrate ha ulteriormente chiarito che l’esenzione, in quanto beneficio, può essere accettata nel caso in cui il trasferimento interessa una partecipazione che, di fatto, è già una partecipazione di controllo, e nel caso in cui la partecipazione trasferita, che si va a sommare a quella già detenuta dall'avente causa, permette di acquisire il controllo di diritto della società. Qualora il donante possieda una partecipazione di controllo e questa venga frazionata tra più discendenti, l'agevolazione spetta solo ed esclusivamente al discendente che ha ottenuto una partecipazione tale, che gli permetta di disporre della maggioranza dei voti in assemblea.
Per esempio: se il genitore dona al figlio Alfa il 51% e al figlio Beta il 12%, su quest'ultimo graveranno le imposte di donazione. Oltremodo è importante che i beneficiari dichiarino di voler continuare l'esercizio dell'attività d'impresa o detenere il controllo per i successivi 5 anni, pena la perdita del beneficio, il pagamento dell'imposta nella misura ordinaria e le conseguenti sanzioni amministrative ex D.Lgs. 158/2015 per “Ritardati od omessi versamenti diretti”, oltre interessi di mora.
Possono beneficiare dell'esenzione anche i trasferimenti effettuati tramite patto di famiglia di cui si dirà più avanti.
In linea di massima, dal punto di vista di un maggior vantaggio fiscale, è consigliabile, tra le due alternative, procedere al passaggio delle quote attraverso donazione, invece che attraverso la cessione delle stesse, sempre che non esistano problemi di rivendicazione della quota legittima tra gli eredi.
Il patto di famiglia
Dal 2006 è stato introdotto nel nostro ordinamento l’istituto del patto di famiglia. Questo si inserisce in una disciplina che cerca di definire in maniera adeguata, la difficoltosa relazione tra le istanze tese a garantire una certa continuità ed efficienza nella gestione del "bene produttivo" e le sentite esigenze di tutela, riguardanti le ragioni dei soggetti complessivamente coinvolti nella vicenda traslativa.
Il patto di famiglia è un contratto grazie al quale:
- l'imprenditore può trasferire l’intera azienda, o solo una sua parte, ad uno o più discendenti;
- Colui che detiene le partecipazioni societarie può trasferire tutte, o solo parte, delle proprie quote ad uno o più discendenti.
Questo istituto, per la sua flessibilità e bassissima onerosità, sta ottenendo un ottimo successo per consentire il passaggio generazione.
Dal punto di vista delle imposizioni, viene messo in evidenza dall’Agenzia come il patto di famiglia di fatto possa essere considerato un atto a titolo gratuito il quale risulta essere sottoposto ad onere poiché non è previsto alcun corrispettivo in caso di trasferimenti e non è contraddistinto da quella libertà di cui si gode nel momento in cui viene fatta una donazione. Pertanto è sull’assegnatario dell’azienda che grava l'onere di liquidare tutti gli altri partecipanti per i valori che spettano loro. Analizzando il tutto dal punto di vista dell'imposizione indiretta è possibile sottolineare il fatto che il patto di famiglia non ha assolutamente nulla a che fare con l’ambito in cui l’imposta di registro viene applicata, dal punto di vista dell’IVA, invece, il patto di famiglia non rientra nell'ambito in cui il tributo una cessione di aziende, o rami aziendali, viene applicato poiché non vengono considerate alla stregua di cessioni di beni (viene a mancare un presupposto oggettivo).
L’imposta di donazione, invece, va applicata a qualsivoglia trasferimento previsto nel patto di famiglia e negli eventuali atti ad esso correlati. Nel caso i beneficiari (coniuge o figli) del trasferimento dichiarino, per mezzo di un documento firmato da loro stessi, di impegnarsi a continuare l’attività dell’impresa per almeno 5 anni dal momento in cui l’atto è stato stipulato e firmato allora il trasferimento dell’azienda non risulta più soggetto ad imposta. Una previsione di questo tipo può essere applicata solamente nel momento in cui si va a concretizzare una cessione di partecipazioni tale da attribuire il c.d. controllo.
Di conseguenza, l’imposta viene applicata al possibile trasferimento di partecipazioni che non presuppongono il controllo. Qualora il trasferimento di immobili sia incluso nell'assegnazione dell'azienda o nelle sue compensazioni, con la trascrizione, di conseguenza, nei registri immobiliari e nelle volture catastali, dovranno essere applicate anche le imposte catastali e le imposte ipotecarie a tali valori.
Per quanto riguarda il trasferimento dell'azienda, poiché non è contemplata la non assoggettabilità del tributo sulla donazione, anche nel caso delle imposte catastali e delle imposte ipotecarie è possibile usufruire di tale esenzione.
Il trust nella successione d’azienda
Il trust è un istituto molto diffuso nei paesi della Common law, che viene riconosciuto nel nostro Paese grazie alla Convenzione dell'Aja del 1985.
Il trust può essere definito come il rapporto giuridico istituito da una persona (detta disponente o settlor), attraverso un atto inter vivos o mortis causa, in base al quale un dato soggetto, chiamato trustee (o fiduciario), che, come un vero e proprio proprietario, gode di determinati diritti ed è in grado di esercitare determinati poteri, può gestire un patrimonio ad uno scopo ben preciso, e già stabilito, purché sia lecito e non vada contro
l'ordine pubblico.
Ad esempio, si può costituire un trust con cui si affida ad un determinato soggetto il proprio patrimonio perché questi lo amministri e lo conservi fino al verificarsi di un evento, al realizzarsi del quale esso dovrà essere consegnato ad un preciso destinatario finale.
In linea di principio, quindi, il trust è il rapporto in virtù del quale un determinato soggetto (definito settlor) trasferisce ad un altro soggetto (denominato trustee) alcuni beni perché egli li amministri:
- nell'interesse di uno o più eventuali beneficiari;
- per un determinato scopo.
Può anche essere nominato un ulteriore soggetto (detto protector), con il compito di controllare che l'operato del trustee sia effettivamente volto a perseguire lo scopo del trust.
Le caratteristiche che un trust deve avere per poter essere definito tale sono le seguenti:
- oggetto del trust devono essere beni che costituiscono una massa distinta e separata, che non può essere confusa, integrata o mischiata con il patrimonio del trustee;
- i beni del trust devono essere obbligatoriamente al nome del trustee, di chi per lui o di un delegato munito di documentazione ufficiale;
- I beni in trust devono essere gestiti, amministrati e disposti dal trustee secondo quanto indicato nell'atto istitutivo ed in base alle norme ed alle imposizioni decretate per legge. Di tale potere-dovere egli deve render conto.
Questo istituto consente di realizzare alcuni obiettivi che sono tipicamente perseguiti dal genitore/imprenditore nel trasferire l'azienda, ossia garantire l'unità e l'integrità della famiglia e dell'impresa, trasferire il controllo in modo graduale e pianificare il subingresso degli eredi.
Quando il trust trova la sua fonte in un testamento e non in un atto inter vivos prende il nome di trust testamentario.
Il trust testamentario può essere definito come lo strumento giuridico attraverso il quale il disponente/testatore regola la propria successione o parte di essa disponendo i suoi beni a favore del trustee il quale dovrà amministrarli realizzando le volontà del disponente per poi successivamente trasferire i beni ai beneficiari finali.
È uno strumento che consente di gestire il passaggio generazionale dei beni aziendali e la continuità dell'impresa. Infatti, attraverso il trust gli imprenditori possono individuare coloro che considerano più idonei per assumere il comando dell'impresa oggetto del passaggio e superare in questo modo le tipiche rigidità del testamento.
In caso di più eredi, il trustee avrebbe non solo il compito di garantire la continuità aziendale, ma anche quello di individuare tra i beneficiari, su indicazioni del disponente, quei discendenti maggiormente idonei ad assumere il controllo aziendale.
Questi i principali vantaggi del trust testamentario: la garanzia di continuità aziendale e dell'unitarietà dell'impresa stessa che rimane totalmente in capo al trustee, senza assistere quindi alla suddivisione dell'azienda per effetto della divisione delle quote tra gli eredi.
La possibilità di istituire validamente un trust mediante testamento è affermata dalla citata Convenzione de L'Aja.
Il Workers Buyout applicato al passaggio generazionale
Dal punto di vista strettamente tecnico il Workers buyout (d'ora innanzi WBO) è un istituto mediante il quale in un periodo di crisi un’azienda può essere rilevata o passare sotto il controllo dei suoi stessi dipendenti, se questi si riuniscono in una cooperativa, per poter prevenire la chiusura dell’azienda stessa o affrontare un ricambio generazionale, soprattutto se si dovesse trattare di un’azienda a gestione familiare. I dipendenti, per quanto concerne le modalità di intervento, utilizzando le proprie risorse (ad esempio quanto spetta loro in termini di anticipo del TFR), possono avere la possibilità di acquistare l'azienda, capitalizzarla nuovamente, far fronte ad una situazione che richiede una riduzione del salario mensile nel caso l’azienda dovesse sostenere dei costi eccessivi per quel mese o per un certo lasso di tempo, o sfruttare le proprie competenze per migliorare le potenzialità dell’azienda stessa.
Il WBO, essendo di fatto un rimedio possibile per far fronte ad una gestione societaria fallimentare, adottando un modello cooperativo e partecipativo, molto spesso viene promosso dagli incentivi pubblici, oltre al fatto che in genere viene visto proprio come uno strumento che possa consentire di integrare lo sviluppo economico con delle politiche attive per il sostegno e per il lavoro.
Negli anni ’80 per la prima volta i nostri legislatori iniziarono ad interessarsi a questo istituto, nello specifico grazie alla L. 49/1985 dal titolo “Provvedimenti per il credito alla cooperazione e misure urgenti a salvaguardia dei livelli di occupazione”, nota anche come Legge Marcora. Grazie a questa normativa è stato possibile favorire la costituzione di cooperative di lavoratori licenziati, di lavoratori in cassa integrazione o di dipendenti di aziende sottoposte a procedure concorsuali o di aziende in crisi, mediante un fondo di rotazione atto a promuovere, finanziandoli, i progetti che possono essere presentati dalle società cooperative, nonché un fondo statale speciale che si propone si salvaguardare, mediante delle nuove iniziative dal punto di vista imprenditoriale ed in forma di cooperativa, diversi livelli occupazionali.
La Legge Marcora è stato solo l’inizio dell’evoluzione evoluzione normativa. Con il passare degli anni si è assistito all’introduzione della possibilità di richiedere l'indennità di mobilità (che oggi confluisce nella Naspi) in anticipo così da poter mettersi in proprio o associarsi in una cooperativa secondo quanto previsto dalle normative attualmente vigenti; o per sottoscrivere una quota di capitale sociale di una cooperativa nella quale il rapporto mutualistico ha come oggetto la prestazione di attività lavorative da parte del socio; oppure per avviare un'attività in forma di auto-impresa o microimpresa.
Agevolazioni di natura economica e fiscale sono inoltre state accordate ai lavoratori, i quali godono anche di particolari diritti come quello di concordato preventivo, prelazione sull’affitto o sull'acquisto di beni appartenenti a imprese sottoposte a fallimento, liquidazione coatta amministrativa o amministrazione straordinaria.
Normalmente questa possibilità veniva utilizzata nel campo della risoluzione della crisi aziendale ma negli ultimi tempi mi è capitato di constatare un crescente interesse per l’applicazione di questo istituto anche al passaggio generazionale, soprattutto nei casi in cui l’imprenditore non abbia eredi o gli stessi non siano intenzionati a proseguire l’avventura imprenditoriale iniziata dal genitore.
Dott. Marco Baldin